
Le jeu de la hache
05/11/2009Daultre part ledict Jeu est honnourable et proffitable pour la preseruation du corps humain noble ou non noble.
Nel novero dei manuali sull’arte del combattimento che possiamo considerare veramente antichi viene spesso scordato il primo trattato francese sulle arti marziali. Chiamato Le jeu de la hache, si tratta di un testo del primissimo 1400 scritto in Borgogna e dedicato unicamente alla graziosa arma conosciuta come “azza”, che si focalizza sul suo utilizzo nelle liste, non in guerra.
Nonostante la fluidità della terminologia medievale, possiamo riconoscere come azza qualsiasi arma in asta lunga come una persona o poco più (1,5-1,8m), dotata di un certo quantitativo di punte (generalmente una superiore, a mo’ di lancia, e un puntale in fondo) e di una sorta di martello ad una delle estremità. Alcuni esemplari avevano dall’altro lato del maglio anche una lama d’ascia, altre invece una tremenda punta a becco. Il trattato di cui parliamo oggi ha come presupposto l’uso di una versione con un becco uncinato.

Bellissima replica di azza di Arms & Armour. Al contrario di quella del trattato questa (ispirata ad un modello del 1470 ca.) è dotata di una lama d'ascia.
I corpi umani tenderanno sempre a considerare un’azza come “una pessima notizia”, indipendentemente dal numero di punte, dal suo peso e dalla lunghezza. Sarebbe folle affrontarne una senza un’adeguata protezione, pur essendo armati allo stesso modo come capiterebbe in un duello giudiziario medievale. I nostri antenati, in effetti, tendevano a giocare con le azze solo quando erano in armatura, il che se non altro prolungava leggermente il divertimento. Le jeu de la hache, al contrario di alcuni manuali successivi, parte dal presupposto che i combattenti siano corazzati pesantemente e che quindi si muovano con un passeggio prudente ed eretto.

Se si eccettua una corazza che copre il petto (Davide mi fa notare che quello è solo un farsetto), i tedeschi di un paio di generazioni successive pare rinunciassero alle armature. Sarà per questo che sono tutti morti? - Dal trattato di Talhoffer, 1467
Come già detto il manuale è dedicato agli scontri giudiziari, all’interno di uno steccato. Alcune delle manovre descritte, infatti, denotano un certo rispetto per la vita dell’avversario, offrendo l’opzione di spingerlo al di fuori del campo di combattimento invece che dal novero delle creature viventi. Il terribile becco viene in genere usato amabilmente per agganciare le gambe dell’avversario e rovesciarlo più che per aprirlo come una scatoletta. Insomma, i francesi medievali, nonostante avessero l’hobby di inchiodare i gatti ad un palo per la coda e di ucciderli a testate, rispettavano cavallerescamente la vita dei propri nobili avversari.
Da un rievocatore una volta mi è stato detto che combattere in armatura completa con le azze non è così pericoloso. Non ho alcuna esperienza di quella che i tedeschi chiamano harnishfechten, nè ho un’armatura se non di tessuto, quindi parlo a puro livello teorico…. Ma francamente non ci vuole un genio della fisica per rendersi conto delle leve e dei pesi coinvolti nell’uso di un’azza, quindi esorterei gli aspiranti appassionati alla prudenza.
Di questo trattato esistono varie trascrizioni. Qui trovate un’originale francese, mentre le traduzioni inglesi su cui lavorare sono ben due: quella (un po’ superata) di Sydney Anglo e quella nuova e rutilante di Jason Smith.
Per completare, aggiungo un video di alcuni marzialisti storici inglesi impegnati in un lavoro di interpretazione di questo antico testo. Stanno cercando critiche e suggerimenti sul loro lavoro.
Immagine dell’azza courtesy of Arms & Armour.
Ciao, Francesco.
Personalmente, ho pochissima esperienza di azza, ma ho tradotto in italiano il Jeu e, effettivamente, se alcune tecniche sembrano molto cavalleresche, altre sono spaventose (c’è un punto in cui l’uncino viene usato per strappare il cosciale all’avversario… preferisco non pensare all’effetto del colpo successivo!) e va considerato che l’autore del trattato predilige il gioco con la coda dell’arma; da parte mia, noto che usare l’uncino per sfondare la corazza dell’avversario è pericoloso e poco concludente: il rischio che si incastri nell’armatura nemica senza produrre effetti degni di nota mi pare alto, soprattutto avendo a disposizione almeno due punte dritte per fare lo stesso lavoro (quella della testa e il puntale nella coda). Secondo me, l’azione agganciante è l’uso più logico del “becco di falco”, anche perchè, se ben condotta ad esempio su un ginocchio dell’avversario, è in grado di fare parecchio male. Spero quest’anno di avere occasione di praticare in palestra l’arma, in modo da confermare questi spunti. Quanto all’affermazione del rievocatore, è un’opinione che il Prof. Anglo riporta nell’articolo a corredo della sua traduzione del Jeu e che si è diffusa a macchia d’olio nel mondo dei rievocatori anglosassoni, e da lì a chiunque usi loro come fonti. Non so (e spero di non sapere mai!) quanto possa essere fondata. Tutto quello che posso dire io è che, quando vedo la testa di un’arma in asta che mi si avvicina a velocità superiori a zero, a me viene da parare… per quanto armato sia!
Avanzi ancora la citazione di Docciolini… Arriverà quanto prima!
@Andrea: Grazie del parere, davvero molto utile! Se mai ti sentirai in vena di condividere con noi i risultati della tua ricerca, sia cartacea che “sul campo” qui sul blog ne saremo davvero onorati!
In ogni caso, sì il manoscritto a parer mio ha un tono doppio… Ti spiega sia le cose orride che quelle “cortesi”, talvolta affiancandole.
Cavoli… Mi piacerebbe provare l’ebbrezza di quest’arma al tempo comunissima ed ora un po’ignorata dai marzialisti storici, ma come detto non ho un’armatura 😀
.-= – Ultime dal sito di Francesco Lanza: …le cose con cui mi tocca avere a che fare… =-.
Ps., La citazione riguarda per caso le finte e come esse dovrebbero funzionare? 😛
Ciao, Francesco, scusa il ritardo. Dovresti aprire un post sulla finta qui: sarebbbe interessante.
La mia citazione preferita del Docciolini è la seguente: “queste finte sono state usate in questo modo, cioè, accennare di tirare un colpo in un luogo per metterlo in un altro meschinamente, cosa da cimentarla con persona che non habbia pratica in questo esercizio dell’armi; però io sono del parere che non si usino le dette finte, anzi voglio che dove voi spignete una punta per finta, che voi la spinghiate talmente innanzi, che l’habbia arrivare al luogo, dove voi la spignete ogni volta che il nemico non venga à opporsegli”. Bellissimo: la più perfetta descrizione tecnica della finta come si dovrebbe usare dal XIV all’inizio del XVII secolo… diciamo fino al 1630, almeno. Per un commento, aspetto il post sulla finta!
Ciao Andrea! Ho aggiunto subito la citazione alla nostra batteria (che è in netta fase di crescita!).
L’idea di parlare delle finte è effettivamente uno spunto di discussione molto interessante… E per l’appunto a questo solo posso aspirare, perchè essere esaustivi su un argomento del genere forse sarebbe un libro intero!
Vedremo come affrontare la sfida.
.-= – Ultime dal sito di Francesco Lanza: …Di ritorno da Milano e da un weekend passato tra nane, tati e Cooking Mama XD =-.
Salve, faccio parte di un nascente gruppo di rievocazione storica campano che studia i codici, sto provando a tradurre ‘Le jue de la hache’ ma dato che ho studiato francese solo alle medie non riesco a tradurre alcuni punti… Andrea saresti disposto a darmi il testo tradotto?
La mia email è maglorelf@gmail.com